57. Biennale di Venezia. L’Arsenale, il Padiglione Italia, Carolee Schneemann e David La Chapelle

L’autostrada dell’arte parte dagli ‘imperdibili’ all’Arsenale, entra nel Padiglione Italia, costeggia il Leone d’Oro alla Carriera a Carolee Schneemann e la mostra di David La Chapelle, e arriva al Madre di Napoli con PERLA POLLINA, 1996 – 2016 di Roberto Cuoghi.

Sette gli universi, i padiglioni, che si snodano nell’Arsenale fino al Giardino delle Vergini con il Padiglione Italia. Il primo è quello dello Spazio comune in cui gli artisti presentano opere che si interrogano su tematiche collettive.

Maria Lai, Enciclopedia Pane/Bread, 17 libri di pane carta, 2008

In questo spazio troviamo Maria Lai (1919 – 2013) i cui nastri e fili esprimono il suo legame con la sua terra, il paese dove è nata, Ulassai in Sardegna. La sua Enciclopedia Pane (2008) è costituita dai 17 libri di pane. Sono espressione della sua poetica: “La creatività nella vita quotidiana rivela le sue qualità femminili: il telaio o il pane che nei giorni di festa ha la forma di uccelli, fiori e gioielli”. Risulta evidente l’interesse dell’artista per le pratiche artigianali, i lavori al telaio, e il legame con le tradizioni della sua terra.

Michel Blazy, Collection de Chaussures, 2015 -2017

Nel secondo, il Padiglione della Terra, Michel Blezy (n. 1966 a Monaco) utilizza materiale organico ibridandolo con prodotti industriali. In mostra Collection de Chassures (2015 – 17) dove le piante crescono dentro scarpe da ginnastica e sono esposte come in una vetrina.

Michel Blazy, Collection de Chaussures, particolare, 2015 -2017

Le opere di Blezy sono microcosmi fragili. In Expérience Atelier una pila di opuscoli e giornali è perforata da una goccia d’acqua che cade dal soffitto. Prodotti di consumo che diventano organismi viventi deteriorabili.

Michel Blazy, Acqua Alta, color photocopies from Instagram, dribbled water, 2017

Nel Padiglione delle Tradizioni l’artista russa Irina Korina utilizza materiali di cantiere, luci e corone funebri (allusione al culto della morte patriottica in Russia), dove l’interno è un allestimento teatrale.

Irina Korina, Good Intentions, Installazione site specific con tecnica mista, 2017

In Translated Vases Nine Dragon in Wonderland (2017) l’artista coreana Yee Sookyung utilizza tecniche antiche, assemblaggio di scarti di vasi difettosi dei villaggi intorno a Seoul e linguaggi contemporanei.

Yee Sookyung, Translated Vases Nine Dragon in Wonderland (2017)

Il Padiglione degli Sciamani è uno dei più suggestivi per l’aria mistica e spirituale che lo pervade. L’artista-sciamano richiama diverse filosofie, come quella buddista o sufi, che aspirano al sacro. Qui Ernesto Neto (vive e lavora a Rio de Janero) espone A Sacred Place. Sostanzialmente una tenda in cui è possibile entrare fisicamente, dove le persone si riuniscono e isolano dall’esterno. Accoglie i visitatori in una struttura di poliammide sospesa al soffitto. Lavora forme quasi bio realizzate in voile di cotone e granuli di polistirene espanso che creano delicati rilievi, come merletti. Le sue installazioni multisensoriali sono spesso arricchite di spezie che donano anche una dimensione olfattiva.

In questa opera che ripropone la Cupixawa, forma nello spazio dove gli indios Huni Kuin (di Acre nella foresta Amazzonica) si incontrano per motivi politici o spirituali. Nella tenda ci sono due forme a spirale che possono sembrano due serpenti o il DNA. In questi spazi gli indios si mettono in rapporto con la natura, compiono rituali, fumano tabacco con l’aggiunta di erbe. I Huni Kuin fanno uso di ayahuesca (pianta psichedelica), considerata una ‘pianta maestra’, con cui mettono in atto delle sedute di guarigione tenute dai loro capi spirituali. L’invito a entrare nella tenda è un tentativo di trasformazione sociale di una società moderna malata. Il padiglione dell’arte come magia, dell’artista/sciamano a cui si chiede di interpretare e governare il caos. Così l’arte diventa rito di guarigione dell’anima.

Ernesto Neto & the Huni Kuin, Um Sagrado Lugar (A Sacred Place), 2017

Rina Banerjee (nata in India a Calcutta, nel 1963) accumula oggetti di uso quotidiano e materiali naturali che messi insieme perdono la loro funzione e sembrano feticci indiani, evocativi di riti ancestrali. Il suo è un realismo fantastico che combina oggetti in modo visionario.

Rina Banerjee, Addictions to leaf and nut aroused, curled currency and culture to itch and moan as arrivals of plants from plantation, not just servants or slaves exploded, swelled to levels tantastic but without majestic magic hurt to ripen, 2017

Il Padiglione dionisiaco coniuga ironia, sorriso, leggerezza e sessualità.
Huguette Caland (libanese vive a Los Angeles) rappresenta la contaminazione tra due culture. Ben presto nella sua carriera di artista pone la donna e la sessualità al centro della sua arte. Nel 1971 eseguì un autoritratto in forma di pube. I suoi disegni erotici hanno spesso titoli ironici e provocatori. Anche la sua elaborazione di caffettani, su cui disegna seni e pube risulta fortemente provocatoria.

Huguette Caland, Tête-à-tête (1971), Miroir (1974) e Tendresse (1975)

Per il suo lungo pannello, Food for Thought “Amman Baad”, un mosaico di audiocassette, Maha Malluh (nata e residente a Riad, Arabia Saudita) ha utilizzato le cassette con i discorsi dei predicatori con le raccomandazioni per le donne sul giusto comportamento da tenere. Maha raccoglie incessantemente oggetti che cataloga in base al tipo e al colore rifiutandosi di produrne di ulteriori in un mondo che ne è già troppo affollato.

Maha Malluh, Food for Thought “Amman Baad”, 2017 – 2400 videocassette in 30 vassoi per il pane

Padiglione dei colori
Studi neuroscientifici hanno dimostrato che i colori non esistono di per sé ma sono il risultato dell’operazione del cervello e dell’occhio che decodificano la realtà. Una grande opera apre questo Padiglione, Brésil (Guarani) di Abdoulaye Konaté (nato in Mali). Ogni colore rimanda a una regione e questa opera è un collage di scampoli lungo sette metri. Il colore predominante è l’indaco naturale, oggetto di scambi in epoca coloniale. L’opera evoca un viaggio in Amazzonia dove l’artista incontrò le tribù Guarani che usano ornamenti pressoché identici a quelli del Mali.

Abdoulye Konaté, Brésil (Guarani), 2015

Il viale centrale delle Corderie si conclude con l’opera di Sheila Hicks, Scalata al di là dei terreni cromatici, enormi balle colorate di pura fibra naturale che sembrano invitare il visitatore a fare una sosta, come un luogo di ritrovo. L’artista, che definisce le sue opere ‘tessiture imparziali’ o ‘tessiture senza pregiudizi’, si è formata con la teoria sperimentale sulla percezione dei colori di Joseph Albert e gli insegnamenti di George Kubler, specialista di arte precolombiana e ibero americana. Dopo un viaggio in Sudamerica conosce le tradizioni latino-americane e scrive una tesi sull’arte tessile della regione andina.

Sheila Hicks, Scalata al di là dei terreni cromatici, 2017

L’ultimo è il Padiglione del Tempo e dell’infinito, forse il più criptico per le sue tematiche e le opere esposte. Inquietante l’impermanenza che sfocia nella morte dell’artista concettuale olandese Bas Jan Ader, Broken Fall, un filmato in 16 mm in cui si vede l’artista appeso a un ramo, sopra un ruscello, fino alla sua caduta. Ader morì all’età di 33 anni sparendo, volontariamente o accidentalmente, in mare lungo la costa inglese.

Padiglionre Italia

Non per patriottismo ma in questa edizione il Padiglione Italia, Il mondo magico a cura di Cecilia Alemani, è uno dei più belli e interessanti: espressione del potere trasformativo dell’immaginazione. Alemani presenta la ricerca di tre artisti italiani interessati al magico: Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey. Il titolo è preso in prestito dal testo omonimo (pubblicato nel 1948) di Ernesto De Martino che indagò la funzione antropologica del magico con cui l’individuo tenta di controllare una situazione storica difficile o incerta.
Il mondo magico dei tre artisti non è una fuga dalla realtà ma uno strumento cognitivo ed espressivo per ricostruirla. La loro arte diventa un racconto di miti, rituali e credenze. I loro sono tre progetti commissionati e prodotti appositamente per il Padiglione Italia.

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017

Adelita Husni-Bey presenta uno schermo in cui si vedono un gruppo di persone che dialogano in inglese, con sottotitoli in italiano. Un flusso di canaline indica un percorso di luce bianca che conduce dall’entrata fino allo schermo. Una scalinata di fronte allo schermo consente di vedere seduti la video proiezione.

L’esperimento di Adelita Husni-Bey, dal titolo The Reading/La Seduta, è quello di porre intorno a un tavolo alcuni ragazzi selezionati per riflettere sullo sfruttamento della terra. Nel video i ragazzi stanno con una cartomante che legge i tarocchi (la Terra, i Detriti, la Colonia etc.) disegnati dall’artista in occasione delle proteste della tribù dei nativi americani Lakota contro la costruzione di un oleodotto nella riserva indigena di Standing Rock. Una parte dell’allestimento è costituito da sculture, mani in silicone illuminate, epifanie di un futuro in atto con riferimento al consumo delle risorse e a nuove forme di colonialismo. L’artista affronta la magia degli oppressi: “come ‘strega’ perchè sola, nubile o ‘ribelle’ o, in altri casi, alla espressione del sapere indigeno perchè rema contro degli interessi economici specifici”.

Roberto Cuoghi

L’artista Roberto Cuoghi è interessato alla modellazione e trasformazione della materia. L’ambiente creato è un’officina dove usa materiali consolidati in calchi posti su tavole/letti per l’essicazione (quasi obitori ma dove le forme sembrano poter risorgere). In attesa di riprendere vita come in una catarsi, come Cristo che risorge. Una volta consolidate queste forme/sculture vengono poggiate su una parete dal fondo scuro. Il corpo è il simbolo della figura di Cristo, un corpo reiterato ma mai identico mentre l’artista è un po’ alchimista, un po’ Pigmalione. La magia sta nella forza evocativa delle immagini.

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017

Al termine di un percorso espositivo impegnativo l’installazione Senza titolo (La fine del mondo) realizzata da Giorgio Andreotta Calò riporta l’anima in una dimensione tra il fantastico e il fiabesco. Tra un fitto bosco di ponteggi, con conchiglie nei punti di giunzione, parte una scala che traghetta i visitatori in un mondo capovolto, come in Alice nel paese delle meraviglie. Lo sguardo fatica a discernere nel buio la tecnica che riproduce un mondo doppiato. Il soffitto di travi si riflette in uno specchio d’acqua profondo una trentina di centimetri. La superficie perfettamente immobile riproduce al contrario la cavità del soffitto a capanna. L’artista attravero elementi carichi di simbolismi arcaici, come l’acqua, crea un ambiente specchiante dove gli inferi toccano e si congiungono al mondo terrestre.

Scenografia, illusione, miraggio sdoppiamento dello spazio riflesso che serve per riflettere sul rapporto tra gli opposti e allo stesso tempo complementari. Il mondo dei vivi e dei morti (come nel mito di Cerere), cielo e terra. Per Calò, nato a Venezia, l’acqua – generativa e distruttiva – è un elemento imprescindibile e misterioso.

Giorgio Andreotta Calò , Senza titolo (La fine del mondo), 2017

Tra le partecipazioni nazionali all’Arsenale una delle più spettacolari è quella della Georgia. Living Dog Among Dear Lions di Vajiko Chachkhiani è un riferimento alla storia della Georgia e alla condizione umana. Una casa in legno abbandonata, inclusi i suoi arredi, è stata trasferita dalla campagna georgiana e ricostruita all’Arsenale. Nella casa entra dentro una pioggia (irrigazione) continua ed è destinata a deteriorarsi fino alla fine della Biennale (novembre). Dimostra lo spirito di adattamento, dimostrato nei secoli, dai georgiani che hanno subito le invasioni musulmane, il potere zarista, la dittatura sovietica e la non facile transizione verso la democrazia. Gli eventi storici sono lenti e ineluttabili, modificano le realtà dei paesi e della gente. Ma la Georgia, come recita il titolo ‘un cane vivo tra i leoni morti’, continua a esistere.

A Vajiko piace la pioggia perché “significa vita e morte, fa crescere le cose e può anche decomporle”. Per lui la caratteristica più interessante è che la casa “all’interno cambierà ma all’esterno rimarrà la stessa. Come le esperienze traumatiche che cambiano la vita all’interno di una persona”.

Su proposta della curatrice, Christine Macel, il Leone d’Oro alla Carriera di questa edizione è a stato assegnato a Carolee Schneemann, una pioniera della performance femminista, concependo la donna come creatrice a tutto campo, ha utilizzato il proprio corpo nudo come energia.

La sua carriera inizia negli anni Sessanta con gli Happenings, cinema, musica, danza e poesia. Si definisce pittrice. Con Fuses (1968), il primo film erotico femminista, attraverso il collage, la pittura, il montaggio e il burning di immagini esplicite di un rapporto sessuale tra lei e il suo compagno, esplora l’estasi sessuale. Ha rappresentato, nei suoi film e performance, le atrocità della guerra in Vietnam e l’11 settembre. In Vulva’s Morphia (1992 – 97) riunisce testi, foto, disegni di rappresentazioni scultoree preistoriche di vulve. Tra queste una personificazione della vulva scopre di essere vittima di pregiudizi. Le sue opere sono presenti nelle collezioni dei più grandi musei del mondo.

Alla ‘Casa dei Tre Oci’, fino al 10 settembre, la mostra di David La Chapelle (vedi anche: https://www.planetmagazine.it/trasgressivo-barocco-creativo-david-lachapelle-a-roma/ ), curata da Denis Curti e Reiner Opoku. Scatti in bianco e nero, Negative Currency (1990-2008) banconote al negativo, un omaggio a Andy Warhol. Still Life (2009 – 12) in cui il tema è la morte. New World è la serie inedita, degli ultimi quattro anni, realizzata nella foresta pluviale delle Hawaii, dove l’artista vive e dove ha intravisto una speranza per il pianeta.

In ultimo si segnala al Madre di Napoli, unica sede italiana della prima mostra retrospettiva di metà carriera di Roberto Cuoghi, PERLA POLLINA, 1996 -2016, che indaga le dinamiche creative dell’artista connotate da un’ascetica ossessività. Dopo approfonditi studi sulla lingua, rituali estrumenti musicali assiri, Cuoghi è giunto a ricreare un possibile canto liturgico di lamento assiro e altre opere. “Di fronte alla preferenza per il bello e il perfetto propri della cultura occidentale, scegli il mutilato e il deforme;… di fronte al nostro rispetto per coloro che sono sopravvissuti, scegli di celebrare quelli che si sono estinti” (Anthony Huberman).

Informazioni
Sedi: Venezia, Giardini e Arsenale
Orari: 10 – 17.30
Fino al 30 settembre venerdì e sabato orario prolungato all’Arsenale fino alle ore 20.
Biglietti: Regular: 25 € per un solo ingresso in ciascuna sede anche in giorni non consecutivi
48h: 30 € valido 48 ore dalla prima convalida; Ridotto 22 €
Sito web: www.labiennale.org
Telefono: 041 5218828

David La Chapelle Lost + Found
Casa dei Tre Oci
Fondamenta delle Zitelle, 43 – Venezia
Orari: tutti i giorni 10 – 19; chiuso martedì
Info  tel. +39 041 24 12 332 ; info@treoci.org
Biglietti: 12,00 € intero; 10,00 € ridotto
Sito web: https://www.treoci.org/index.php/it/2013-02-05-10-08-35/mostre-in-corso/item/256-david-lachapelle-lost-found

Fino al 18 settembre al Madre – Via Settembrini, 79 Napoli
PERLA POLLINA, 1996 – 2016 Retrospettiva di Roberto Cuoghi
Orari Dal 27.05 al 18.09.2017 Lunedì / Sabato 10.00 – 19.30
Domenica 10.00 – 20.00 Martedì chiuso
Biglietti: 7 euro, ridotto 3,50 euro.
Sito web: https://www.madrenapoli.it/mostre/roberto-cuoghi-perla-pollina-1996-2016/