Uluru (Ayers Rock), il gigante sacro degli aborigeni

1. Australia. I nativi credono che nel monolite più grande del mondo, Uluru, sia racchiuso lo spirito dei loro antenati vissuti nel tjukurapa ‘tempo senza tempo’ (everytime, per i colonizzatori dreamtime).

Uluru dall’aereo

Il mio viaggio in Australia, dove i nativi sono presenti da 60.000 anni, inizia dal suo cuore spirituale: Uluru (Patrimonio dell’umanità UNESCO dal 1987). La storia dei colonizzatori europei è recente, risale a poco più di due secoli. Prima di sorvolarlo ti chiedi: “perché andare fino al centro del deserto per vedere questo enorme masso?”. Ma già dal finestrino dell’aereo non riesci a smettere di fissarlo. Una energia magnetica che ti attrae inesorabilmente verso quello che sembra ‘l’ombelico del mondo’, l’utero della creazione. Il monolite s’innalza per 348 m sull’Amadeus Basin (antichissimo bacino sedimentario), come un iceberg scende sottoterra a sei chilometri di profondità, occupando una superficie di quasi 3,5 chilometri quadrati. La leggenda racconta che si è formato durante il tjukurapa (dreamtime). La Tjukurpa è la legge tradizionale osservata dagli Anangu, i nativi che vivono lì da millenni.

Uluru

Ciò che lo rende unico è la roccia di cui è composto: l’arcosa (roccia sedimentaria detritica) contenente ferro, la cui ossidazione dona a Uluru il caratteristico colore rosso. A una delle sue estemità ci sono due cavità, quella in basso (una specie di onda di pietra) è sacra alle donne anangu. La tribù la considera il marsupio della femmina del rufous hare-wallaby (‘wallaby lepre rossiccio’, piccolo marsupiale, mala nella lingua dei nativi).
I “miti della formazione” degli aborigeni (che preferisco chiamare nativi), trasmessi per via orale, sono riferiti a un mondo che già esisteva ma che era indifferenziato, abitato da giganteschi animali totemici. Questi camminando, cacciando, danzando o nel mettersi seduti sulla terra lasciarono le impronte e i segni del loro transito: montagne, rocce, pozze d’acqua, e altri elementi presenti in natura. Così dopo aver plasmato il mondo, a cui hanno attribuito energia, si sono trasformati in componenti del paesaggio, poi diventati sacri per i nativi.

Uluru (Ayers Rock)

Determinati luoghi, creati da eventi importanti (per esempio guerre, morti etc.), mantengono una speciale energia, potenza evocativa, chiamata dagli aborigeni il “sogno” (dream) del luogo. Alla fine del “tempo della formazione” gli dèi si insediarono in luoghi precisi, diventando così: montagne, rocce, fiumi etc. Per la cultura aborigena ogni luogo sulla terra è sacro ed esiste una rete di relazioni fra ogni essere vivente e un luogo.  Il “tempo senza tempo” non è un passato storico, nella visione dei nativi è una dimensione temporale a cui accedono attraverso il sogno, strumento per comunicare con gli spiriti, decifrare il significato di presagi o comprendere le cause di malattie e disgrazie.  
Il Serpente Arcobaleno è la divinità creatrice femminile, emersa dal sottosuolo per dare forma al mondo ed è associata all’acqua e alle stagioni. Quando i nativi vedono un arcobaleno credono che sia questa divinità che si sta spostando. Per gli australiani le stagioni sono solo due (secca e umida) per i nativi sono sei, legate alle fioriture e alla maturazione della frutta.

Uluru, arte rupestre

Tra i nativi esistono i “custodi dei racconti“, ovvero gli anziani. Cosicché ogni gruppo conserva un certo numero di racconti del “tempo senza tempo” dei quali è responsabile. Gli anziani hanno il compito di tramandarli alle nuove generazioni, secondo tradizione. Questa usanza, di decine di migliaia di anni, si è bloccata in molte aree durante la colonizzazione (in particolare nel sudest australiano). Penalizzati dalla violenta azione distruttiva dei coloni nei confronti della loro cultura, oggi i nativi cercano di preservare i racconti. I coloni hanno cancellato persino i nomi originali dei luoghi: infatti Ayers Rock era un omaggio dell’esploratore Ernest Giles, il primo non aborigeno a vedere nel 1872 il monolite, all’allora premier Henry Ayers.

Uluru, arte rupestre

Negli anni Settanta, sotto il monolite, un turismo di massa dissacrante aveva realizzato sia una pista di atterraggio che piantato tende. Oggi si soggiorna a Yulara, a circa venti chilometri a nord di Uluru.
Alcuni dei racconti dei nativi, i più importanti, sono segreti e possono essere rivelati soltanto a particolari persone. Ce ne sono alcuni che solo le donne conoscono o soltanto gli uomini. Visto lo stretto legame fra le storie del “tempo senza tempo” e la geografia del paese è naturale che esistano relazioni fra le storie che ogni gruppo può conoscere, e raccontare, e i luoghi sacri che quel gruppo può frequentare.

Uluru

Molti racconti di questi miti, che gli aborigeni si sono rifiutati di raccontare ai bianchi, sono profondamente legati a luoghi sacri. Pertanto solo una piccola parte della mitologia dei nativi è nota agli antropologi. Secondo quanto riportato da Bruce Chatwin, in Le vie dei canti, i racconti del “Tempo del Sogno” sono tramandati in forma di canti. Ognuno di questi canti descrive il percorso seguito da una creatura ancestrale nel suo viaggio originario (“Orme degli Antenati” o “Via della Legge”). Inoltre ha una struttura musicale che corrisponde, come una sorta di mappa, alla morfologia del territorio attraversato da questo percorso.

Uluru

Secondo i nativi queste creature totemiche “avevano percorso in lungo e in largo il continente cantando il nome di ogni cosa in cui si imbattevano – uccelli, animali, piante, rocce, pozzi -, e col loro canto avevano fatto esistere il mondo” (Bruce Chatwin). Ancora lo scrittore racconta:

Queste ‘strade’ correvano lungo la linea di immancabili pozzi naturali. I pozzi, a loro volta, erano centri rituali dove si radunavano uomini di tribù diverse… Prima dell’arrivo dei bianchi… in Australia nessuno era senza terra, poiché, tutti, uomini e donne, ereditavano in proprietà esclusiva un pezzo del canto dell’Antenato, e la striscia di terra su cui esso passava. I versi erano come titoli di proprietà che comprovassero il possesso di un territorio.

Pozza di Mutitijulu (casa di Wanampi, ancestrale serpente d’acqua), piscina naturale perenne

Percorrere a piedi il perimetro di Uluru, quattro ore per 9,8 chilometri (Base Walk), è una esperienza affascinante, scopri da vicino cose che neanche immagini (caverne, anfratti, piscine naturali, dipinti etc.) soprattutto con guide anangu, i tradizionali custodi del monolite. Si parte di notte per arrivare ai piedi del monolite, visibile a 80 chilometri di distanza, e inizia il cammino in silenzio, quasi per non disturbare il sonno del gigante e ascoltare la natura, mentre contempli la sinfonia dei rossi che all’alba accendono il masso.

Uluru, poiana dal petto nero

A nord-ovest c’è una caverna (lunga 27 m), utilizzata per le cerimonie di iniziazione, il cui accesso era proibito alle donne. Gli uomini del clan raccontano come questo monolite si è formato dalla base di un termitaio trasformatosi in pietra per il sangue versato nei rituali di circoncisione con cui veniva completata l’iniziazione dei ragazzi. L’adulto lasciava colare sul suolo il sangue delle proprie braccia. Secondo la tradizione gli uomini Mala (che hanno come totem il piccolo wallaby-lepre rossiccio, il più piccolo tra le specie dei canguri) quando visitano Uluru si incidono le vene delle braccia e lasciano colare il loro sangue sulla parete di fondo della caverna, che presenta lunghe striature scure di sangue essiccato.
L’adulto lasciava cadere sul suolo il sangue delle proprie braccia. Secondo la tradizione, gli uomini Mala (che hanno come totem il piccolo wallaby-lepre rossiccio, il più piccolo tra le specie dei canguri) quando visitano Uluru si incidono le vene delle braccia e lasciano colare il loro sangue sulla parete di fondo della caverna, che presenta lunghe striature scure di sangue essiccato.

Uluru

I disegni aborigeni che si trovano negli anfratti sono usati anche come decorazioni sul corpo durante i rituali di iniziazione. Questi disegni cerimoniali, accompagnati da acconciature elaborate e altri oggetti, hanno la funzione di trasformare i partecipanti negli antenati totemici. I colori usati sono pochi: rosso, giallo, bianco e ocra. Il loro significato è noto solo agli iniziati e possono occorrere giorni o settimane per la preparazione della cerimonia. I disegni, l’arte, hanno un ruolo importante anche nei rituali funerari.
Uluru ospita circa 170 specie di uccelli (di tutti i colori: rossi, azzurri e la “poiana dal petto nero”) non è raro vedere canguri, emù, wallaby e dingo, gli abitanti del deserto.
Soltanto nel 1976 è stato riconosciuto anche alle popolazioni indigene il diritto di cittadinanza.

Kata Tjuta

Nel 1985 il parco nazionale è tornato ad essere “proprietà” degli Anangu ma non in modo esclusivo poiché la gestione fu affidata, per 99 anni, a una società di aborigeni e bianchi con punti di vista diversi sull’utilizzo del parco. A partire dal 26 ottobre 2019 a Uluru sarà vietato scalare il monolite (fatto che ha causato, tra i turisti, 37 morti e diversi feriti). Sarà riconosciuta in tal modo, e fatta rispettare, la sacralità del luogo per i nativi.
A 40 chilometri da Uluru si trova Kata Tjuta (“molte teste” così denominate dalla tribù Pitjantjatjara): 36 cupole rossastre (la più alta 546 m) che si sono formate a seguito di 500 milioni di anni di erosione. Si stendono su una superficie di oltre 20 chilometri e la vetta più alta è il monte Olga, in onore della regina Olga di Wurttemberg. La leggenda narra che qui vivesse il grande serpente Wanambi. Anche questo è un luogo sacro per gli Anangu che gestiscono il parco nazionale insieme a Parks Australia. Ci sono due sentieri, uno più corto e facile, Walpa Gorge Walk di 2,6 chilometri (un’ora di sentiero tra due alte pareti di roccia) e l’altro il Valley of the Winds Walk, più lungo (7,6 chilometri, 3-4 ore di cammino) ma con panorami incredibili.

Kata Tjuta, Walpa Gorge Walk

Una delle esperienze indimenticabili che si possono fare nel parco è la cena Sound of silence (cena sotto le stelle). Una esperienza costosa (195 AUD) ma è un’emozione che non dimenticherete. Verrete portati in mezzo al deserto, con vista su Uluru, dove potete contemplare le mille sfumature di un tramonto e aspettare la sera. Un’autentica immersione nell’Outback australiano con un’atmosfera di cristallo e una luminosità straordinaria. La cena è inoltre un’occasione per assaggiare carne di canguro, coccodrillo e altre prelibatezze australiane. Ma lo spettacolo inizierà quando si spegneranno le luci: lontano dalle sorgenti luminose, si accenderà sopra di voi un prato di luci. Si vive la magia che, a luci spente, è il cielo ad accendersi con miliardi di stelle sopra la testa. Inoltre una guida esperta di costellazioni vi racconterà il cielo australe e le sue costellazioni.

Sound of silence (cena sotto le stelle)

L’Ayers Rock Resort, a Yulara (fuori dai confini del parco, le cui strutture appartengono dal 2011 a un trust che dialoga con i nativi), è stato concepito nel rispetto dell’ambiente. Le strutture sono basse e per l’approvvigionamento energetico è utilizzato un sistema fotovoltaico (energia solare) di 5.770 moduli che copre il 15% del fabbisogno del Resort. Il Resort si trova al centro del deserto e per gli approvvigionamenti di cibo e altro ha bisogno di due viaggi settimanali di vagoni di provviste da Adelaide (che dista 1.663 chilometri) e viaggi giornalieri di camion che vengono da Alice Springs (a 443 km).

Sails in the Desert Hotel

Il Sails in the Desert Hotel è un hotel 5 stelle che deve il suo nome alle vele che offrono fresca ombra in piscina e negli spazi comuni. Ottima posizione centrale, vicino al Centro servizi di Yulara, e personale gentile e disponibile. È possibile prenotare escursioni e laboratori sui costumi aborigeni. Si consiglia la partecipazione, gratuita, alle attività che si svolgono tutti i giorni per conoscere la cultura anangu: il cibo del bush, la caccia, l’arte, la natura e la flora locale.

Sails in the Desert Hotel, camera

Le camere del Resort sono spaziose e confortevoli. Il ristorante, Ilkari, è raffinato e la colazione a buffet è super. Il transfer da e per l’aeroporto è gratuito. Il soggiorno minimo per fare un paio di escursioni nell’Uluru – Kata Tjuta National Park è di almeno tre giorni.

Foto di Antonella Cecconi e Marco De Felicis

Uluru

INFORMAZIONI
Documenti: passaporto e visto turistico elettronico da richiedere sul sito dell’ambasciata. Assistenza sanitaria di ottimo livello di cui possono beneficiare anche i turisti italiani.
Quando andare: da marzo a ottobre. Temperature ottimali ad aprile e a maggio. Fuso orario: 8,5 ore in più rispetto all’Italia.
Il biglietto di ingresso all’Uluru – Kata Tjuta National Park garantisce l’accesso illimitato per 3 giorni (25 AUD).
Si consiglia un cappello con la rete sul volto per evitare le noiose mosche.

Cultural Centre Uluru-Kata Tjuta National Park
Orario: 7 – 18
Tel. 08 89561128
ParksAustralia.gov.au/uluru

Dove dormire:
Sails in the Desert Hotel
Indirizzo: 163 Yulara Drive, Yulara
Tel. +61 (02) 8296 8010
For booking & enquiries: travel@voyages.com.au
https://www.ayersrockresort.com.au
Camera doppia a partire da 200 euro.

Libro consigliato: Le vie dei canti, di Bruce Chatwin, Adelphi, 1988.
Un romanzo che racconta incontri e avventure nel profondo dell’Australia. Un percorso di idee che muove da un paio di interrogativi: perché l’uomo, fin dalle origini, ha sentito un impulso irresistibile a spostarsi, a migrare? Perché i popoli nomadi tendono a considerare il mondo perfetto, mentre i sedentari tentano continuamente di mutarlo?

Film consigliati:
Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir (1975), tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice australiana Joan Lindsay. Il giorno di San Valentino del 1900  le ragazze del collegio di Appleyard si recano in gita ad Hanging Rock, una particolare formazione rocciosa famosa della zona. Tre delle fanciulle scompaiono misteriosamente. Dopo una settimana, una ragazza ritrova una delle ragazze scomparse, che però non fornisce alcuna spiegazione. La vicenda resta avvolta nel mistero…
Priscilla, la regina del deserto, di Stephan Elliot, vincitore di un Premio Oscar per i costumi. Felicia, Mitzi e Bernadette (nomi d’arte di Ralph, Tick e Adam) sono in viaggio, nel mezzo del deserto australiano, per andare ad esibirsi in un cabaret. Felicia e Mitzi sono due travestiti, Bernadette è transessuale. Il viaggio, con un torpedone rosa shocking di nome Priscilla, è occasione di disavventure, ricordi d’infanzia, confidenze, solitudini e legami indissolubili. Il film è stato d’ispirazione anche per un musical teatrale.