“Eravamo cacciatori di teste”. Riti, vita e arte delle popolazioni Asmat

A Milano il Mudec ospita la prima mostra dedicata a uno dei popoli più affascinanti della Nuova Guinea: gli Asmat, ex cacciatori di teste. Fino all’8 luglio 2018.

Questa mostra è un gioiello che ha il pregio di mostrare i manufatti degli Asmat, conservati nei depositi del Mudec, e quello di raccontare i mutamenti sociali e culturali sopraggiunti, nel XX secolo nella tradizione rituale e artistica di questa popolazione. Esposte circa 150 opere provenienti dalla Nuova Guinea e appartenenti alla collezione Fardella-Azzaroli (in comodato al museo) e alla collezione Leigheb-Fiore (acquisita dal Comune nel 2015).

Ingresso mostra

Gli Asmat, che abitano nella costa sud-occidentale della provincia Papua (Nuova Guinea), appartengono stilisticamente e culturalmente al mondo oceanico e politicamente all’Indonesia.
Negli anni Cinquanta/Sessanta le diverse popolazioni Asmat erano in lotta tra loro e il governo olandese decise di ristabilire l’ordine nella regione per evitare il protrarsi di episodi di violenza. Probabilmente la scomparsa di Michael Rockefeller (rampollo della facoltosa famiglia americana), il cui corpo non fu mai ritrovato, è da attribuire a una vendetta scaturita dai contrasti tra gli Asmat e il governo coloniale olandese. L’Indonesia da quando ottenne (1963) l’amministrazione di questi territori vietò la pratica di alcuni rituali come il cannibalismo e la caccia alle teste.

Sala espositiva. Tradizione e modernità

Tutto ciò determinò il parziale abbandono della pratica scultorea da parte degli Asmat, legata alla dimensione spirituale. Attraverso un progetto delle Nazioni Unite si sviluppò un programma per incentivare la scultura Asmat. Si raggiunse l’obiettivo di istituire un Museo e l’Asmat Culture Festival (ultima edizione 2014).
Queste popolazioni, abitando una zona inospitale, hanno mantenuto le loro tradizioni rituali, come la caccia alle teste e il cannibalismo, fino alla metà del XX secolo.

Pipe, sec. XX, Cultura Asmat, Provincia Papua, Indonesia, Bambù, incisione. Museo delle Culture, Milano, Coll. Maurizio Leigheb

Gli Asmat (tr. “il popolo della terra”) continuano a suscitare grande fascino perché associati a un mondo primigenio. Interesse suscitato anche in Sebastião Salgado che ha scattato, per il suo progetto Genesi, diverse foto a queste popolazioni la cui vita è un equilibrio tra uomo e natura. All’interno di un programma specifico di aiuto a queste popolazioni, voluto dalle Nazioni Unite, è stato avviato l’Asmat Art Project per il recupero dell’attività scultorea come mezzo di sussistenza.

Frecce, sec. XX, Cultura Asmat, Provincia Papua, Indonesia, Legno/intaglio, Museo delle Culture, Milano Coll. Maurizio Leigheb, Roberto Fiore

L’esposizione è divisa in quattro sezioni.
La prima, Contesto storico e geografico. La Nuova Guinea è la seconda isola per estensione al mondo e si trova a nord dell’Australia. Gli Asmat vivono a Papua dove si intensificarono i contatti con gli occidentali nel XX secolo (missionari e avamposti del governo olandese). Questo ha comportato da una parte la repressione delle pratiche violente (cannibalismo e caccia alle teste) dall’altra la valorizzazione della loro abilità scultorea.
La seconda sezione, Vita quotidiana. Gli Asmat vivono di caccia e pesca e coltivano la palma del sago (da cui ottengono una fecola). Le loro abitazioni sono costruite sulle rive dei fiumi (palafitte), o sugli alberi nelle foreste, per essere meno attaccabili. Le loro case sono condivise da più famiglie, di fratelli, ma ognuna ha un proprio focolare.

Pugnale, Cultura Asmat, sec. XX, Provincia Papua, Indonesia. Fibre vegetali/intreccio, osso, semi, piume. Museo delle Culture, Milano, Coll. Maurizio Leigheb

La vita cerimoniale è incentrata sulla grande casa degli uomini, il jeu, dove si svolgono i riti e vengono scolpite le figure sacre. Le donne sono adibite alla cura della casa e dei bambini, pescano con le reti e gli uomini con trappole e arpioni. Le asce fatta di pietra, materiale raro in questa zona, sono sacre e portano il nome di un antenato. In questa sezione sono esposti gli oggetti di uso quotidiano: gli strumenti per la lavorazione del sago, borse, bracciali, orecchini e collane.

Collane, sec. XX, Cultura Asmat, Provincia Papua, Indonesia, Conchiglia e osso/intaglio, semi, rafia, cera d’api, Museo delle Culture. Milano. Coll. Maurizio Leigheb

Nella terza sezione, Guerra rituale e reale, sono protagoniste le armi: lance, scudi, frecce etc. Armi usate per la caccia, contro i nemici ma anche per i riti e le cerimonie sacre. Erano usate per la caccia alle teste, che aveva lo scopo di assicurare la continuità del cosmo e il benessere dell’intera comunità. L’omicidio, commesso durante le spedizioni di caccia alle teste, era indispensabile per vendicare l’uccisione di un antenato ed era connesso ai riti di iniziazione dei ragazzi, necessari per attestare il loro passaggio all’età adulta. Durante questi riti il giovane doveva tenere in grembo per due/tre giorni la testa del nemico ucciso in modo da assorbirne la forza tramite il sesso su cui poggiava il cranio.

Scudi, sec. XX, Cultura Asmat, Provincia Papua, Indonesia. Legno di mangrovia/scultura, calce, ocra rossa, polvere di carbone. Museo delle Culture, Milano Coll. Maurizio Leigheb, Roberto Fiore

Al termine il giovane dava il suo nome (“nome di bambù”, materiale del coltello usato per l’uccisione) alla testa del nemico. Poi l’iniziato si imbarcava su una piroga verso il sole e mimava il suo invecchiamento. Uno zio materno lo faceva rinascere immergendolo in acqua (come nel battesimo cristiano) insieme al cranio del nemico. Il giovane in posizione fetale rinasceva e, ormai adulto, era pronto a partecipare alla caccia alle teste. La testa rituale veniva poi donata a una donna che la poneva accanto a una pianta del villaggio. In alcune zone i crani di parenti e persone importanti erano venerati, alcuni decorati, ed erano dati al bambino più grande del villaggio  in segno di protezione.

In occasione delle spedizioni di caccia alle teste veniva praticato anche il cannibalismo poiché si riteneva che mangiando la carne del nemico la forza vitale di questo si trasferisse ai guerrieri, che in tal modo acquisivano autorità e prestigio. Dopo aver aperto il cranio veniva estratto il cervello che era cucinato con il sago. Gli stessi pugnali erano spesso realizzati con ossa umane o di coccodrilo. Nonostante le proibizioni intervenute è certo che fino agli anni Sessanta la caccia alle teste fu praticata dagli Asmat. In seguito i crani veri vennero sostituiti da teste di legno.
Gli scudi esposti avevano una funzione di difesa in battaglia o quella di allontanare gli spiriti malvagi se posti davanti alle porte delle case.

Palo cerimoniale, sec. XX, Provincia Papua, Indonesia. Legno di mangrovia/scultura, calce, ocra rossa, polvere di carbone, foglie di sago, Museo delle Culture, Milano, Coll. Maurizio Leigheb, Roberto Fiore

A ogni scudo veniva assegnato il nome di un antenato o di un eroe mitico che in tal modo ritornava a vivere, rendendo il proprietario invincibile. Sugli scudi, spesso terminanti con forma fallica o con una testa sulla sommità, sono raffigurati animali cacciatori oppure le onde del mare.
Nell’ultima sezione, Tra arte e rito: la scultura come gesto divino, è rappresentata l’identificazione uomo-albero e i due aspetti fondamentali della cultura Asmat: la scultura e la musica. Questi due aspetti trovano fondamento nel mito di Fumeripitsj, il fondatore. Questo sentendosi solo nella casa cerimoniale iniziò a intagliare figure umane nel legno ma siccome risultavano statiche scavò il tronco di un albero rivestendolo di pelle di lucertola e creò così un tamburo che iniziò a suonare. La musica dello strumento infuse vita alle figure che iniziarono a danzare. Da queste nacque il popolo Asmat. 

Barche degli spiriti, sec. XX, Cultura Asmat, Provincia Papua, Indonesia, Legno di mangrovia/scultura, foglie di sago, calce, ocra rossa, Museo delle Culture, Milano, Coll. Maurizio Leigheb, Roberto Fiore (particolare)

In questa sezione sono esposte le barche degli spiriti, i tamburi, le maschere e le sculture. Tra queste due pali cerimoniali Bis (alti oltre quattro metri) decorati con pigmenti naturali. Necessitavano di quattro/cinque mesi per essere realizzati, in un unico tronco di mangrovia e in segreto nelle case cerimoniali. Avevano la funzione di ricordare ai vivi la presenza di quelli che avevano perso e che dovevano essere vendicati con una spedizione di caccia alle teste.

Barche degli spiriti, sec. XX, Cultura Asmat, Provincia Papua, Indonesia, Legno/scultura, patina naturale, calce, ocra rossa, rattan, Museo delle Culture, Milano, Coll. Mariangela Fardella, Giorgio Azzaroli

La “barca degli spiriti” o “delle anime” (wuramon) è una canoa senza fondo poiché adibita al trasporto simbolico delle anime dei defunti. Stanno su un’unica canoa più figure e di ognuna si occupa uno specifico scultore. I wuramon venivano realizzati durante la festa dedicata alla commemorazione dei defunti (emak cem) per invitarli a salpare verso il regno degli antenati. Erano tenuti nascosti fino all’inizio della festa quando la gente si sorprendeva di rivedere i propri morti e poterli salutare. Dopo essere stati trasportati verso il fiume terminava l’isolamento dei giovani iniziati. Le barche, avendo finito la loro funzione di congedo dai defunti e di aiuto alla rinascita dei giovani, venivano poste sotto la casa per consumarsi con il tempo.

Maschera per rito funebre, sec. XX, Cultura Asmat, Provincia Papua, Indonesia, Fibre vegetali/intreccio, piume, foglie di sago, semi, Museo delle Culture, Milano, Coll. Maurizio Leigheb

Le maschere funerarie (doroe) coprivano volto e busto, e in alcuni casi erano decorate con conchiglie e fibre vegetali. Erano indossate dai defunti per raggiungere, dalle foreste e per una sera, i vivi e potersi riposare dal viaggio. Erano accolti con danze e cibo e il clima gioioso aveva lo scopo di rasserenare sia i vivi che i morti. All’alba le danze terminavano e i morti tornavano nella foresta.
Interessante il documentario, e le numerose foto, che consentono un avvicinamento progressivo alla cultura di queste straordinarie popolazioni.
Hanno collaborato alla realizzazione della mostra, oltre al personale scientifico del museo, esperti come il dott. Paolo Campione (direttore del Museo delle Culture di Lugano).

Foto di Marco De Felicis

Informazioni

SEDE: MUDEC – Museo delle Culture –
via Tortona 56, 20144 Milano
PERIODO DI APERTURA: fino all’8 luglio 2018
infoline: 0254917 (lun-ven 10.00-17.00)
Singoli: helpdesk@ticket24ore.it
Gruppi e scuole: ufficiogruppi@ticket24ore.it
INFORMAZIONI E PREVENDITE: Tel.  0254917 –
https://www.ticket24ore.it  – https://www.mudec.it
APERTURE STRAORDINARIE:
Domenica 1 aprile (Pasqua), 9.30 – 20.30
Lunedì 2 aprile (Lunedì dell’Angelo), 9.30 – 19.30
Lunedì 23 aprile, 9.30 – 19.30
Mercoledì 25 aprile (Anniversario della Liberazione), 9.30 – 19.30
Lunedì 30 aprile, 9.30 – 19.30
Martedì 1 maggio (Festa dei Lavoratori), 9.30 – 19.30
Sabato 2 giugno (Festa della Repubblica), 9.30 – 22.30