Sardegna 8. Cabras. Il Sinis, una penisola da sogno: spiagge, mare cristallino, natura, arte, siti archeologici e tradizioni

Cabras (bottarga e i Giganti), San Giovanni di Sinis, Tharros, il villaggio di San Salvatore di Sinis e la Corsa degli Scalzi

INDICE: Da Cagliari verso il Sinis – La bottarga e i Giganti di Mont’e Prama a Cabras – San Giovanni di Sinis – Tharros – Il villaggio di San Salvatore di Sinis e la Corsa degli Scalzi– Informazioni

Da Cagliari verso il Sinis

Scooter utilizzato per le vacanze in Sardegna

Viaggiare con ogni mezzo, ma in estate, se si è da soli o in due, l’ideale sono le due ruote: dalla bicicletta a uno scooter fino alla moto. Soprattutto al mare, in particolare sulle isole, le due ruote girano quasi ovunque, non hanno problemi di parcheggio, non si soffre il caldo e imbarcarsi su una nave è molto più economico e facile. Ma soprattutto, per gli appassionati, viaggiare in moto, oltre che easy e smart, è divertente! Così il nostro itinerario in Sardegna (giugno/luglio post lockdown) è iniziato da Cagliari (dopo il viaggio di notte in nave) verso la costa occidentale. Due soste prima di puntare a Cabras: San Sperate (a nord di Cagliari) e le dune di Piscinas.

San Sperate (CA), Giardino Sonono di Pinuccio Sciola

Il primo è un borgo famoso per i murales di Pinuccio Sciola (1942 – 2016), che ha lasciato un giardino incantato di sculture in calcare, trachite o basalto. Merita la visita guidata all’interno del Giardino Sonoro, un museo a cielo aperto all’interno di un agrumeto. Un’immersione dei sensi nella natura, un giardino dove inebriarsi di profumi, ascoltare il vento e i diversi suoni emessi dalle pietre dell’isola che la rendono così speciale.
Passando per il villaggio minerario abbandonato, Ingurtosu, costruito dai francesi per ricavarne piombo e zinco, si arriva alle alte dune di Piscinas che si gettano nel mare azzurro, dove fare un bel bagno e godersi il paesaggio.

La bottarga e i Giganti di Mont’e Prama a Cabras

Cabras, Museo Archeologico Giovanni Marongiu

Cabras si affaccia sulle sponde di un ampio stagno (2230 ettari), una zona palustre tra le più importanti in Europa usata per l’iitticoltura (spigole, anguille muggini) e la produzione di bottarga di muggine (detto l’oro sardo o il caviale della Sardegna). Lo stagno è una risorsa per l’economia locale ma anche per la biodiversità: è un sito naturalistico dove le acque dolci incontrano l’acqua di mare creando un’acqua salmastra che dà vita a un ecosistema unico.

I pesci dello stagno sono tutti selvatici e la bottarga, di uova di cefalo (muggine) essiccate all’aria (in Sicilia si usano quelle di tonno), si produceva già dalla seconda metà del XIV secolo. I pescatori la portavano come riserva di cibo quando andavano al largo. Ma soltanto dal 1982 lo stagno è gestito da una cooperativa di pescatori. La peschiera Pontis ha più di quattro secoli, risale agli Aragona quando quando Filippo IV concesse la laguna a un banchiere genovese per ottenere finanziamenti per la guerra con la Catalogna.

A settembre i muggini sciamano nelle acque dello stagno. Qui sono pescati e selezionati i migliori con le grosse sacche di uova, estratte delicatamente affinchè si conservino integre. Le due sacche di uova vengono lavate, purificate e messe sotto sale per un periodo di tempo variabile (secondo le dimensioni), pressate, messe ad esciugare per la stagionatura in un luogo secco e ventilato dove sono controllate giornalmente. Il clima di Cabras consente un’essiccazione naturale delle uova (dai 4 ai 15 giorni) che esalta il gusto della bottarga. Quella di Cabras si riconosce, oltre che per il gusto sapido-salmastro e di mandorla secca e dal colore che va dall’oro all’ambra, anche dal “su biddiu” (ombelico), ovvero un breve tratto di placenta che rimane attaccato alla parte iniziale della baffa (sacca).

Navicella con protome bovina della Sardegna nuragica

La produzione annua si aggira intorno ai 25 quintali con un prezzo di circa 200 euro al chilo. Per tale motivo si ricorre anche alla bottarga prodotta all’estero (Mauritania, Senegal), confezionata ed etichettata in Sardegna, venduta a un prezzo di circa 130 euro al chilo. La bottarga lavorata sull’isola ha l’etichetta azzurra, senza indicazioni del luogo di pesca, mentre quella pescata nello stagno locale deve riportare la scritta “pescato nella laguna di Cabras”. Normalmente è venduta in baffe (sacche ovariche integre) o in polvere.
Merita una sosta il Museo civico “Giovanni Marongiu”, dalla moderna architettura in trachite rossa. Qui sono esposti interessanti reperti dei villaggi neolitici e nuragici del Sinis. La prima sezione è dedicata al sito preistorico di Cuccuru is Arrius (con vasi, statuine femminili, monili e strumenti).

Cabras, Museo Archeologico Giovanni Marongiu, Giganti Mont'e Prama
Museo Archeologico Giovanni Marongiu, Giganti di Mont’e Prama

C’è una sezione riservata a Tharros con i reperti provenienti dalle due necropoli (fenicia e punica), dal tofet (santuario fenicio-punico dove erano deposte le urne con le ceneri di bambini e animali) e dal quartiere metallurgico punico. Un’altra sezione ospita i resti di un relitto di una nave romana affondata vicino all’isola di Mal di Ventre nel I sec. a.C.
Dal 2014 il museo ospita una selezione di uno dei più famosi ritrovamenti nuragici: i Giganti di Mont’e Prama.
Qui si trovano sei delle 24 statue ritrovate nel sito di Mont’e Prama nei pressi dello stagno di Cabras. Probabilmente queste inquietanti e affascinanti statue, tutte maschili, celebravano antenati-eroi di un gruppo. Sono così moderne, aliene, che sembrano provenire da un film di fantascienza piuttosto che da un sito archeologico. I volti dai grandi occhi concentrici, dall’espressione attonita e dai lineamenti stilizzati, sembrano un’apparizione di abitanti di un altro pianeta.

Cabras, Testa di Gigante di Mont'e Prama
Testa di Gigante di Mont’e Prama

Sono rappresentati, con dimensioni superiori al vero: arcieri (n. 5), guerrieri (n. 3), pugilatori (n. 16), con elaborati accessori e decorazioni. Le sculture sono ricavate da blocchi unici (peso anche di 400 chilogrammi) provenienti da una cava locale.

Per questa sede museale è previsto un progetto di ampliamento per accogliere le rimanenti statue esposte, fino a oggi, nel Museo archeologico nazionale di Cagliari, dove rimarranno solo quattro statue. Frammenti di queste sculture sono emersi, nel 1974, in occasione di lavori agricoli alla base della collina di Mont’e Prama (zona ovest dello stagno). Furono rinvenute, nella necropoli, alcune tombe con scheletri seduti e rannicchiati.
Oltre le statue sono emersi anche interessanti modelli di nuraghe, stilizzati e idealizzati, vari per dimensioni e la presenza di torri. Queste scoperte gettano luce sull’ultima fase della civiltà nuragica. La datazione più accreditata è l’VIII sec. a.C., un periodo evoluto della prima età del Ferro. Il complesso funerario e scultoreo viene riferito ad un heroon (dal greco: luogo finalizzato al culto degli antenati ed eroi e per celebrare i valori della comunità).

San Giovanni di Sinis

San Giovanni di Sinis, capanne di falasco (foto d’epoca, per gentile concessione di una famiglia del luogo)

Se cercate vita mondana, divertimenti, discoteche stile Costa Smeralda allora la penisola del Sinis non fa al caso vostro. Se invece cercate il mare assoluto, spiagge bianche da sogno, tranquillità, relax, musica delle onde, acqua cristallina dalle mille sfumature di azzurro, natura incontaminata, fenicotteri rosa che vi attendono sulla spiaggia, allora siete nel posto giusto. La penisola del Sinis è un’oasi che speriamo sia sempre protetta.
Fino a non molti anni fa sulla spiaggia di San Giovanni di Sinis c’era una sfilata di capanne di falasco, dette barraccas de cruccuri (giunchi di stagno). Queste erano un ricovero per l’attrezzatura e rifugio per i pescatori che in estate si spostavano qui con la famiglia. Erano costruite con erbe palustri e formavano piccoli villaggi: Portu S’uedda, Mare Morto, Su Siccu e Torregrande.

Appartamenti

Lo scheletro ligneo della struttura era ricoperto da fitti fasci di falasco sostenuti da canne. Queste rendevano l’ambiente interno impermeabile impedendo ai forti venti di maestrale di infiltrarsi nelle fessure. La manutenzione ordinaria avveniva ogni 4-5 anni, ma la copertura richiedeva interventi anche più frequenti, a causa delle intemperie.
In seguito vennero utilizzate anche come case per le vacanze estive dagli abitanti di Cabras, Nurachi e Oristano, che le occupavano soprattutto nel mese di agosto, in occasione delle feste religiose (San Giovanni Battista, Sant’Agostino e Sant’Efisio).
Negli anni Ottanta cambiarono le zone di pesca così le capanne furono quasi tutte distrutte. Oggi ne restano poche, alcune private, mentre altre sono state ricostruite dall’Area Marina Protetta.

San Giovanni di Sinis, spiaggia

Un retaggio di questa tradizione è rimasto a San Giovanni di Sinis, dove vicino al mare mancano alberghi, stabilimenti, supermercati e altri negozi. Per diverse necessità occorre recarsi nei borghi a pochi chilometri.
Personalmente cerco mare incontaminato, natura selvaggia e avere una distanza di sicurezza dai vicini di ombrellone (non solo per covid ma anche per la confusione) che qui è garantita da quattro chilometri di spiaggia. Qui puoi leggere ascoltando la musica delle onde invece delle chiacchiere o schiamazzi dei vicini. Il periodo giugno/luglio (ancora non alta stagione) offre la possibilità di stare al mare con gli abitanti dell’isola, educati, rispettosi, lontani dal caos cittadino. Per il soggiorno ci sono all’interno agriturismi e vicino al mare è possibile affittare un appartamento.

San Giovanni di Sinis, tramonto

L’unica cosa di cui ho sentito la mancanza è stato un giornalaio. Ma arrivare al bar-trattoria sulla spiaggia, il Vento Maestro, a piedi nudi è stato un modo speciale di trascorrere una giornata di mare con bagni e nuotate. Ma San Giovanni di Sinis offre tante altre cose, tutte a piedi. Bellissima è la passeggiata che parte dalla torre aragonese detta di S. Giovanni, lungo la penisola fino a Capo San Marco. Qui puoi sperimentare il significato del “Mare Morto”, il litorale dove il mare è calmo (quello rivolto all’interno del golfo di Oristano e ideale per l’approdo), e del “mare vivo”, mare aperto spesso battuto dalle onde.

Capo San Marco, “Mare Vivo e Mare Morto”

All’interno del borgo c’è una deliziosa chiesa (solitamente chiusa, occorre contattatre un custode che abbia le chiavi, a tal fine rivolgersi alla biglietteria del sito archeologico di Tharros). San Giovanni di Sinis (o Santuanni, come la chiamano i sardi) sembra un elemento naturale perfettamente inserito in un contesto straordinario: con le sue pietre dorate che all’esterno riflettono l’alba e il tramonto e il suo profilo ondulato che fa eco alle onde marine di cui sente il fragore.

Chiesetta di San Giovanni di Sinis

La chiesa presenta un avancorpo a tre navate coperte da volte a botte (IX – XI secolo) mentre il corpo quadrato centrale e la cupola risalgono al periodo paleocristiano (VI sec.). Il probabile riferimento è la pianta a croce greca di S. Saturnino a Cagliari. Sembra di entrare in un tempio, con le sue pietre ricoperte di muschio, così suggestivo che non è importante se sia cristiano o pagano, fa risuonare l’anima.

San Giovanni di Sinis, interno

Un luogo incredibilmente spirituale in cui hai la sensazione di uscire fuori dal mondo per entrare nella natura con le sue pietre, il suo muschio, quasi in una grotta. Nella parte più antica è da notare l’abilità costruttiva bizantina che ha combinato, nella cupola, la base quadrata con l’imposta circolare della volta.

San Giovanni di Sinis, esterno, abside

Le rovine di Tharros testimoniano che la zona fu abitata già dai Fenici, Punici e Romani. A pochi passi dall’abitato è possibile raggiungere l’area archeologica di Tharros.

Tharros

Tharros è un sito archeologico unico perchè si trova in un contesto paesaggistico favoloso all’estremità meridionale della Penisola del Sinis. Una insenatura dalla verde macchia mediterranea bagnata da un mare azzurro da togliere il fiato su cui si stagliano due tra le colonne più instagrammate d’Italia. La città bimare di Tharros, importante scalo commerciale, venne fondata tra la fine dell’VIII e VII sec. a.C. dai Fenici in una zone già frequentata in età nuragica (XV – XIV sec. a.C.). Sulla collina di Su Murru Mannu (in sardo “grande muso”), è visibile ancora oggi un villaggio protostorico (età del Bronzo medio) già abbandonato all’arrivo dei Fenici.
Non è stata identificata l’esatta ubicazione dell’abitato fenicio mentre sono pervenute testimonianze di ambito funerario e votivo. All’epoca erano in uso due necropoli: una a Capo San Marco e l’altra, mai ben indagata, è all’interno del villaggio moderno di S. Giovanni di Sinis.

Tharros, vista dall’alto

Le sepolture risalgono a partire dall’ultimo quarto del VII sec. a.C. e sono prevalentemente semplici fosse nella sabbia o nella roccia in cui sono deposti i resti incinerati dei defunti, insieme ai corredi di ceramica e a oggetti personali. Molti materiali sono stati rinvenuti nel tofet, tipico santuario fenicio-punico a cielo aperto, circondato da un recinto sacro e contenente le urne, con i resti incinerati di bambini morti e di animali sacrificati. Probabilmente il tofet è una necropoli destinata ai bambini nati morti o a quelli deceduti prematuramente o forse sacrificati. Sono state recuperate circa 5000 urne e oltre 300 stele. Il santuario, nel periodo punico, era dedicato a due divinità: una maschile, Baal Hammon, e una femminile, Tanit. Nei suoi pressi (alla fine del V sec. a.C.) sorgeva un quartiere artigianale specializzato nella lavorazione del ferro.

Strada di basalto con fognature al centro

Nella seconda metà del VI secolo prevale la politica espansionistica di Cartagine e così Tharros passa sotto il suo controllo. Tra la fine del VI secolo e il 238 a.C. (anno della conquista romana dell’isola) vengono costruiti numerosi edifici, che ancora in parte si conservano sotto quelli di epoca successiva. Tra queste costruzioni la cinta fortificata chiude la città da eventuali attacchi da terra e da mare. Al periodo punico (III sec. a.C.) è da riferire il tempio monumentale o tempio delle semicolonne doriche. Questo sorgeva su una grande piattaforma gradonata, su cui s’innalzava un tempietto o un altare. Sempre di età punica sono le tombe a camera a Capo S. Marco e tra le case di S. Giovanni. Queste sepolture, formate da un vano d’accesso e da una camera sepolcrale, ospitavano gli inumati, deposti in posizione supina insieme a corredi di oggetti anche preziosi, oggi custoditi nei musei sardi.

Dopo la conquista romana dell’isola (238 a.C.), e in particolare in età imperiale, viene effettuata una imponente risistemazione urbanistica: verso il II secolo d.C. le strade sono dotate di una pavimentazione in basalto; viene costruito un articolato sistema fognario per lo smaltimento delle acque bianche e l’acquedotto che riforniva il castellum aquae (serbatoio d’acqua, rivestito in cocciopesto impermeabilizzante, che alimentava una fontana pubblica) e vengono edificati ben tre impianti termali vicino al mare.

Tharros

Gli edifici in laterizi, dotati di spogliatoi, avevano stanze riscaldate artificialmente, alcune decorate con mosaici policromi.
Le tombe romane, a inumazione e a incinerazione, compaiono lungo l’intera fascia costiera e sono di vari tipi: sarcofagi monolitici, fosse, inumazioni entro anfore e incinerazioni.
In età paleocristiana e altomedievale le principali strutture pubbliche romane subiscono delle modifiche. Ad esempio le terme n. 1 vengono annesse a un complesso cultuale cristiano, anche le terme n. 2 cambiano d’uso, come fa presupporre la presenza di sepolture di età bizantina.

Le colonne (ricostruite) del tempio tetrastilo di Tharros

Del tempio tetrastilo (50 a.C.), affacciato sul mare, restano le basi e le due colonne di ordine corinzio (l’elemento più suggestivo e fotografato) che sono il risultato di una ricostruzione.
Per secoli è stato perpetrato lo spoglio delle strutture antiche tanto da rendere difficile la ricostruzione di questa fase tarda della storia del centro. Sappiamo di una lenta decadenza e spopolamento dovuti anche alle incursioni dei Saraceni. Nel 1071 la sede episcopale viene trasferita a Oristano, fatto che determina la fine del centro antico.

Il villaggio di San Salvatore di Sinis e la Corsa degli Scalzi

Villaggio di San Salvatore di Sinis

In Sardegna esistono dei veri e propri villaggi religiosi temporanei. Si riconoscono per le casette basse: cumbessìas o muristènes abitate solo in occasione delle ricorrenze religiose, le novene. Il villaggio di San Salvatore di Sinis (XVII-XVIII sec.) si trova lungo la strada che da Cabras conduce a Tharros. Al centro della piazza troviamo la chiesa dedicata al Salvatore e il villaggio (un centinaio di casette) torna a essere abitato nei nove giorni antecedenti la prima domenica di settembre.
La chiesa campestre (XVII sec.), ad aula rettangolare, sorge su un preesistente tempio sotterraneo. Subito dopo l’ingresso alla chiesa una scala conduce a un misterioso ipogeo.

Chiesetta di San Salvatore di Sinis, scala che scende all’ipogeo

Il corridoio scavato nella roccia, voltato a botte, termina in una piccola sala circolare con al centro un pozzo quadrangolare su una fonte di acqua sorgiva. L’ambiente è da identificare con un santuario sotterraneo pagano di origine nuragica collegato al culto delle acque. Il fatto che rende l’ipogeo particolarmente interessante è proprio questa stratificazione del “sacro”, il culto di un’acqua ritenuta medicamentosa, in cui la comunità, nel tempo: dalla preistoria fino a oggi, si è identificata.
Attorno alla saletta circolare si aprono tre ambienti circolari. In quello absidato scavato nel pavimento stanno i resti di un’altra fonte sacra (probabile epoca nuragica).

San Salvatore di Sinis, Venere, Marte e la Musa (IV sec. d.C.)

Nell’ambiente absidato più lontano, sopra un altare cristiano, ci sono importanti iscrizioni: una araba del XVI secolo, sono i primi versetti del Corano e altre in lingua punica (il monogramma RF sta per RUFU, significa “guarisci” attestando in tal modo la valenza guaritrice del luogo).
Un altro ambiente era un probabile tempio di Marte e Venere. Sugli intonaci delle sale troviamo raffigurate a carboncino le divinità pagane dell’Olimpo romano: Eracle che strangola il leone Nemeo, Venere, Marte e la Musa, ed Eros databili a partire dal IV sec. d.C., oltre a scene di gladiatori, corse di carri e immagini di navi più recenti (XVI-XVII sec.).
Il contesto è particolarmente suggestivo e misterioso ma quello che lascia esterrefatti è la modernità di questi disegni, in particolari dei volti. Quello di Venere sembra quello di una moderna regina.

San Salvatore di Sinis, Venere (IV sec. d.C.)

Negli anni Sessanta furono operate alcune trasformazioni per esigenze cinematografiche che volevano il villaggio più somigliante a uno messicano adatto ai film western. Oggi il villaggio è tornato al suo aspetto originario e la novena (liturgia di nove giorni) si conclude con la Corsa degli Scalzi. Nella seconda metà di agosto i nuineris (novenanti) si trasferiscono nelle domigheddas (piccole case) per celebrare il rito. Durante i giorni le donne seguono le cerimonie religiose mentre la sera gli uomini preparano la corsa per trasportare lo stendardo e il Santo da Cabras al villaggio, e ritorno.

All’alba del sabato i curridoris, nella sede, si spogliano dei vestiti e della quotidianità per indossare s’abidu (un saio bianco). Assistono scalzi alla Messa a Santa Maria a Cabras e dopo aver coperto con un telo il Santo per proteggerlo dalla polvere al grido Currei!!… in nomin’e Deusu!!… inizia la corsa di otto chilometri verso il villaggio. All’arrivo il Santo e lo stendardo vengono consegnati ai novenanti che, cantando e in processione, lo portano in chiesa. La festa si conclude, dopo il dono del garofano rosso, con arrosti e vernaccia. Musiche e danze si protraggono fino a notte fonda ma la mattina seguente, dopo la processione e la Messa, i corridori riporteranno nel pomeriggio il Santo a Cabras, dove vengono accolti da fuochi d’artificio.

Informazioni

Dove dormire

Appartamenti da Sergio Dancardi
Via lungomare, San Giovanni di Sinis 09172 Cabras OR
Tel. 345 1193778
Due appartamenti a 5 metri dalla spiaggia, uno fronte mare l’altro sul retro. Appartamenti tranquilli con la spiaggia davanti (la strada in terra batuta è alle spalle dell’edificio). Gli appartamenti sono puliti e accessoriati. Disponibilità, serietà e puntualità.

Dove mangiare

Vento Maestro Lido – Bar – Trattoria
Via Lungomare snc, 09072 Loc. San Giovanni di Sinis, Cabras (OR)
Telefono: +39 366 817 7765
email: lidoventomaestro@gmail.com
Aperto tutti i giorni dalle ore 09:00 alle 18:00
Prenotazione lettini mare, ombrelloni e canoa

Ristorante S’Acqua Mala
Loc. Maimoni Case Sparse, 2, 09072 Cabras OR
Telefono: 340 338 7299
Servizio un po’ lento ma ai tavoli fuori (pochi) si sosta volentieri. Menù contenuto ma piatti ben fatti. Consigliati gli “spaghetti bottarga e vongole”. Sosta ideale per rimanere in spiaggia.

Sa Pischera ‘e Mar’e Pontis
Indirizzo: SP6, 6, 09072 Cabras OR
Telefono: 335 749 7626
Ittiturismo. Menù fisso a base di bottarga e muggini. Le produzioni della casa costituiscono il novanta per cento delle portate.

Cosa Visitare

Giardino Sonoro
Via Oriana Fallaci, 09026 San Sperate CA
Telefono: 324 587 5094

Museo Civico Giovanni Marongiu
Via Tharros – Cabras
tel. 0783 290636

Area Archeologica di Tharros
Torre spagnola San Giovanni di Sinis
Località San Giovanni di Sinis – 09072 Cabras (OR)
tel. +39 0783 370019