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La Festa del Cinema di Roma non è solo film. Qui gli incontri ravvicinati di martedì con il duo di artisti contemporanei Gilbert & George e lo sceneggiatore-regista-produttore David Mamet. Il film Il Segreto (The Secret Scripture) con lady Redgrave.

Tra gli incontri più interessanti quello dedicato a Gilbert (Prousch, italiano) & George (Passmore, inglese), un duo di dissacranti artisti che, condividendo esistenza e arte, hanno scelto la ‘firma comune’ delle loro opere. Rifiutano la distinzione dei ruoli e rivisitano il concetto di identità e individualità, all’insegna del motto: “l’arte è di tutti”. Durante l’incontro hanno raccontato come: “Nel ’68 quando eravamo degli artisti solitari non avevamo uno studio, eravamo soli al mondo, creature e creatori. Non avevamo i soldi ma ci sentivamo artisti”. La loro vita insieme è iniziata in un quartiere di lavoratori nella periferia dell’East End di Londra. Negli anni della contestazione si oppongono all’arte d’élite, chiamando la loro casa “Arte per Tutti” e si autodefiniscono “sculture viventi”. Negli anni Ottanta subentra una nuova tematica: la paura dell’AIDS, che colpisce molti loro amici omosessuali. La malattia e la paura vengono rappresentate in immagini antiestetiche, con riferimento alla perdita di dignità dell’individuo.

Gilbert and George

La Tate Modern di Londra li ospita (2007) per una importante retrospettiva mai dedicata prima ad artisti viventi. Sono stati invitati, alla Festa del Cinema, in occasione della presentazione, dopo l’incontro, del loro documentario del 1981, restaurato a cura della Cineteca Nazionale con Milestone Film& Video: The World of Gilbert & George, a cura di Mario Codognato e Alessandra Mammì. Del documentario non erano rimasti i negativi ma solo tre copie in 16 millimetri nel New Jersey che sono state ‘lavate’, scannerizzate e sottoposte a correzione del colore. Anche il breve fuori scena recuperato esprime il loro concetto: “due persone un artista”. Hanno dichiarato di essersi “distaccati dal mondo dell’arte perché non volevamo essere contaminati da altri artisti. Volevamo che la nostra arte fosse visionaria, utopia, rappresentare tutto ciò che rende la vita fantastica: sesso, razza, religione. Ci sono ancor Paesi dove la gente viene punita per aver fatto quello che voi avete fatto ieri sera”.

Mauro Codognato, George, Gilbert e Alessandra Mammì

“Gli artisti, negli anni Sessanta-Settanta, erano interessati solo alla forma. Noi volevamo dire qualcosa, esprimere emozioni come nella ‘scultura che canta’. Un autista del Bangladesh ci ha raccontato che avrebbe voluto essere un artista ma era musulmano e non poteva raffigurare le persone. Abbiamo replicato che avrebbe potuto fare arte astratta ma lui disse che era ‘così triste’…”.

George & Gilbert

Il documentario esprime il loro interesse a riprendere la vita di ogni giorno, indagando le paure, le ossessioni e le emozioni che provano le persone quando sono al cospetto di temi quali sesso, razza, religione e politica. Loro stessi si sottopongono a tale minuzioso esame, in un’ottica in cui l’artista e le opere coincidono: “Essere sculture viventi è la nostra linfa, il nostro destino, la nostra avventura, il nostro disastro, nostra vita e nostra luce”. Nel documentario dichiarano il loro credo: “nell’arte e nella bellezza”. Il filo conduttore della loro arte è il rapporto tra l’arte e la vita. Sebbene non ci sia somiglianza fisica il loro aspetto quasi alieno, i completi in tweed e le loro cravatte coordinate, li fanno sembrare due gemelli, due sculture intercambiabili: “Noi siamo gli schiavi della bellezza”.

Antonio Monda e David Mamet

Durante l’incontro con il premio Pulitzer (1984) David Mamet (figlio di genitori ebrei originari della Russia, debutta nel cinema con la sceneggiatura, de Il postino suona sempre due volte, 1981) sono stati presentati i brani di alcuni suoi film poi commentati dallo scrittore a ruota libera. In Phil Spector (2013) Mamet fa dire al protagonista (Al Pacino), un produttore condannato per omicidio (attualmente in carcere con cui il regista ha provato a mettersi in contatto): “Non sono scostante, sono inaccessibile”. Mamet non ha lesinato aneddoti cinematografici, come la sceneggiatura che stava scrivendo su Malcom X, film poi realizzato da Spike Lee. Pur essendo uno scrittore ritiene che una storia si racconta meglio con le immagini e che la sfida risiede nel montaggio.

David Mamet

A proposito degli Intoccabili (1987, sua la sceneggiatura) ha spiritosamente specificato come la scena della carrozzina che cade lungo le scale sia stata rubata da Ėjzenštejn a Brian De Palma e non il contrario. In occasione di quel film ha notato la disponibilità di Sean Connery che aveva accettato di intrattenersi lungamente al telefono con la sorella sfortunata del poliziotto della security che gli aveva portato i saluti di lei. Avrebbe voluto lavorare anche con Nino Manfredi, insieme al quale ricorda una magnifica colazione a Trastevere, ma quando un collaboratore dell’attore tentò di dargli alcune coordinate sul personaggio che avrebbe dovuto descrivere, con la sua “consueta gentilezza” l’apostrofò: “ma che cazzo dici?”. Così Manfredi non fece più il film. L’attore deve recitare così come lo sceneggiatore deve scrivere, “io non mi permetto di dire a un attore come recitare”.

Antonio Monda e David Mamet

La sua sceneggiatura de Il verdetto di Lumet è stata definita ‘perfetta’: “Inizialmente non avevo previsto l’inserimento nel film del verdetto ma Lumet disse che serviva un verdetto in un film che si intitolava Il verdetto“. Dopo uno spezzone di Glengarry Glen Ross (1992) lo scrittore racconta come, al tempo, era: “tra quelli che lavoravano 14 ore al giorno in un’agenzia immobiliare. Ho fatto i lavori peggiori del mondo, poi ho scoperto che potevo scrivere e guadagnarci sopra. Per imparare a scrivere bene devi scrivere tantissimo. Ho scoperto che il dramma parla della menzogna. Tutto ciò che vedi con amore è la verità, il resto è fumo!”.

Monda e Mamet

Dopo gli incontri, il film The Secret Scripture, regia e sceneggiatura di Jim Sheridan (irlandese, Il mio piede sinistro 1989, Nel nome del padre 1993), è un adattamento cinematografico del romanzo (2008) di Sebastian Barry. Nella romantica e suggestiva Irlanda, dove i cieli accarezzano i prati e le nubi si specchiano nel mare, si muove, e fa commuovere, Rooney Mara nei panni di Rose McNulty (giovane). Il core del film è l’interpretazione di una Lady del cinema: Vanessa Redgrave (l’anziana Rose). Nonostante le sue rughe, sapientemente mostrate, l’eleganza dei suoi lineamenti e il suo sguardo continuano a catturare il pubblico, basta il suo volto alla recitazione. Lady Rose vive da decenni in un ospedale psichiatrico da cui non vuole più nemmeno uscire. La sua autobiografia e l’appoggio del dr. Grene contribuiranno a far riemergere la verità. I temi trattati (in Irlanda devi scegliere da che parte stare, gli aspetti torbidi della religione, il bigottismo di provincia) sono quelli che, magistralmente, ha rappresentato anche Stephen Frears nel suo pluripremiato Philomena (Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia 2013, con Judi Dench e Steve Coogan) basato sul romanzo di Martin Sixsmith, ispirato a una storia vera. Nel film di Frears la protagonista, una ragazza madre irlandese costretta ad abbandonare il figlio dopo averlo dato alla luce in un convento, va alla sua ricerca. Al film di Sheridan, pieno di lirismo, manca il ritmo e l’humour di Philomena e il finale risulta piuttosto scontato e inverosimile.

Sito della Festa del Cinema di Roma:
https://www.romacinemafest.it/festa-del-cinema-di-roma/

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#RomaFF11 Incontri ravvicinati e Il Segreto ultima modifica: 2016-10-20T15:17:42+00:00 da Antonella Cecconi