Venezia 76. J’Accuse, “L’ufficiale e la spia”, una lezione di cinema e di storia

Roman Polanski, un maestro scomodo, che denuncia il razzismo di ieri e di oggi con il suo J’Accuse. Leone d’Argento – Gran premio della Giuria. Dal 21 novembre al cinema.

Jean Dujardin (colonnello Picquart) e Louis Garrel (Alfred Dreyfus)

La Biennale Cinema di Venezia di quest’anno è un’edizione impegnata sui grandi temi di attualità: economia internazionale, società offshore, elusione fiscale, razzismo, migrazione e i muri. Dopo le polemiche sul suo turbolento passato sembra difficile un premio, seppur meritato, al regista Roman Polanski e al suo film. Ma J’Accuse (titolo italiano, meno bello, “L’ufficiale e la spia”) ha fatto centro, un film su uno scandalo passato per comprendere meglio il presente, le radici del razzismo europeo e non solo.

Emmanuelle Seigner (Pauline Monnier)

L’affaire Dreyfus è stato lo scandalo, e il conflitto sociale, di fine XIX / inizio XX secolo. Mirabilmente Roman Polanski srotola i 12 anni (1894 – 1906) di questa vergognosa vicenda, imbastita dai servizi segreti, in formato thriller. Impossibile non cogliere in questo linciaggio morale e materiale ai danni di un ebreo una citazione delle vicende biografiche dello stesso regista.
Il film inizia con la degradazione dell’ufficiale Dreyfus, accusato di essere una spia tedesca, davanti a tutto l’esercito, vengono distrutti i suoi connotati militari, la sua reputazione e la sua dignità. Gli viene mostrata una pistola per invitarlo, suicidandosi, a farsi giustizia da solo. A questo Dreyfus risponde: «No, non mi uccido perché sono innocente. Devo vivere per dimostrarlo! Mi sarà fatta riparazione per questo affronto!».

Jean Dujardin (colonnello Picquart)

Il 22 dicembre 1894 viene condannato, seppure innocente, alla degradazione, ergastolo ed esilio sull’isola del Diavolo, per alto tradimento per aver consegnato al nemico tedesco documenti segreti a conclusione di una inchiesta volutamente superficiale. In realtà nonostante la facciata di modernismo, da poco era stata inaugurata la Tour Eiffel (1889), il governo conservatore e clericale aveva scelto un ebreo come perfetto capro espiatorio. Uno stato che dà la caccia al diverso in nome del superiore interesse nazionale, e qui il film diventa attualissimo. Sembra di cogliere nella sceneggiatura di Robert Harris e Roman Polanski – la scena con il rogo dei libri – gli embrioni, nella Francia moderna, del nazismo che ha perseguitato e ucciso uomini per la loro appartenenza etnica o religiosa.

Jean Dujardin a Venezia

Il colonnello Picquart, nuovo capo dei servizi segreti, comprende subito, grazie a un confronto calligrafico, che l’inchiesta su Dreyfus è inattendibile. Picquart rivela, in modo onesto e allo stesso tempo inquietante, la sua antipatia per gli ebrei e il suo amore per la verità. Così risponde al suo ufficiale Dreyfus: “Se lei mi chiede se gli ebrei mi siano simpatici, la risposta è no. Se lei mi chiede se il suo essere ebreo mi impedisca di giudicare serenamente il suo caso, la risposta è ancora no”.
Polanski ci avverte come anche i moderni, gli onesti, siano ugualmente razzisti, antisemiti, come i nemici di destra che hanno combattuto.

Louis Garrel a Venezia

Il 25 novembre 1897 Émile Zola pubblica sul quotidiano «Le Figaro» la famosa lettera, J’Accuse, indirizzata al presidente della Repubblica in cui dichiara: “giuro che Dreyfus è innocente… Sono uno scrittore libero, che ha un solo amore al mondo, quello per la verità…». Nonostante le dichiarazioni, nel 1898, del maggiore Hubert J. Henry (principale accusatore di Dreyfus e membro del controspionaggio) di essere l’autore della lettera falsificata e di aver contraffatto molti documenti del dossier segreto (si suicidò in seguito in carcere), la Corte Militare condannò Dreyfus, nella revisione del processo, a 10 anni con le circostanze attenuanti. Tutto ciò per la compromissione dello Stato Maggiore nella vicenda. Pochi giorni dopo Dreyfus, convinto dal fratello, accettò di chiedere la grazia.

J’Accuse, una scena del film

Alla fine della sua persecuzione giudiziaria, durata dodici anni, Alfred Dreyfus fu scagionato, riabilitato e riammesso nell’esercito. Ma quando a Georges Picquart, che si era prodigato per la verità sul caso e ormai nominato ministro, viene chiesto di riconoscere a Dreyfus il grado superiore lui non esita a rispondere “no” senza fornire spiegazioni.
Una grande lezione di cinema e di storia. Il film uscirà in Italia con il titolo “L’ufficiale e la spia” il 21 novembre 2019.

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Biennale Cinema 2019
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