Ligabue e la sua sofferenza a colori

A Roma al Complesso del Vittoriano (Ala Brasini) Ligabue in mostra, con oltre 100 opere.  prorogata fino al 29 gennaio 2017.

Una mostra su Antonio Ligabue (1899-1965), le sue opere e le sue profonde sofferenze espresse da una tavolozza dai colori violenti. Le sue rappresentazioni sono lotte per la sopravvivenza di animali della foresta.

Complesso del Vittoriano, ingresso

Era nato a Zurigo (Svizzera tedesca) ma, dopo esserne stato espulso (1919) e aver vagabondato, raggiunse e si stabilì a Gualtieri, sulle rive del Po, dove rimase fino alla sua morte. Autodidatta e con una dote straordinaria nel trasfigurare e sublimare i suoi conflitti li tradusse in feroci scontri animali. Il suo è un espressionismo tragico che è difficile umanamente accogliere e accettare e che probabilmente per molto tempo lo rese inviso al mondo della critica d’arte.

Sandro Parmiggiani, direttore della Fondazione Museo Antonio Ligabue di Gualtieri

Nel 1929 grazie all’incontro con Renato Marino Mazzacurati (artista della Scuola Romana, esponente di correnti artistiche quali il cubismo, l’espressionismo e il realismo) acquisì la tecnica dei colori a olio. Nei suoi numerosi autoritratti esposti si legge tutta la sua sofferenza, la vita dura e le afflizioni patite.

Sergio Negri, presidente del comitato scientifico

Gli unici momenti di serenità e pace sembra ritrovarli nel lavoro nei campi e negli animali che amava, come i cani, e sentiva fratelli. La mostra si snoda attraverso tre sezioni cronologiche, che corrispondono ai tre periodi in cui è suddivisa la produzione artistica dell’artista, dagli anni Venti fino al 1962.

Antonio Ligabue, Scimpanzé s.d. (1936) bronzo, collezione privata

La prima sezione (1928 – 1939)
Una serie di opere che rivelano ancora incertezze tecniche, grafiche e coloristiche. Un impianto formale elementare basato su una figura centrale, spesso animale. Una giungla padana, combattimenti ferini (Caccia grossa, 1929) che portano alla luce drammi esistenziali. Rappresentazioni quasi primitive viste con ottica ingenua, un mix di animali domestici ed esotici. Animali che soccombono e una probabile identificazione in questi. Le sole pause di serenità le troviamo nelle scene di vita agreste.  Nel 1913 la madre naturale e i tre fratellastri morirono per una intossicazione da cibo, di cui Ligabue attribuì la responsabilità al padre adottivo, Bonfiglio Laccabue, manesco e alcolista. Antonio cresce rachitico, viene messo in una sezione differenziale e diventa soggetto della crudeltà dei compagni, anche per le sue orecchie a sventola e il gozzo, simboli di diversità. Anche con la madre adottiva ci furono continui scontri seguiti dalle fughe da casa, fino all’espulsione dalla Svizzera per volere di lei. Non avendo parenti a Gualtieri l’amministrazione se ne fece carico con un posto letto all’ospizio dei poveri e un lavoro da ‘scarriolante’. Gli animali diventarono presto i compagni che non potevano tradirlo e i suoi soggetti preferiti. Mazzacurati racconta così il suo primo incontro (1928) con Ligabue: “L’ho incontrato per la prima volta nel bosco dove viveva. Non è stato facile avvicinarlo. La gente lo terrorizzava. Ci sono voluti alcuni giorni per avviare una conversazione se pur minima. Se ne stava a diversi metri di distanza da me e mi scrutava sospettoso”. Mazzacurati ospitò  nel suo studio, alla Palazzina (case rurali all’interno del cortile di villa Torello Malaspina), ‘Toni al mat’ che vi teneva i cani randagi raccolti in giro e dormiva nelle serre o nei fienili.

Antonio Ligabue, Leopardo nella foresta (particolare), s.d. (1956-1957), P. III Olio su tavola di faesite, 54×54 cm, Collezione privata

La seconda sezione (1939 – 1952)
Figlio di due madri (naturale e matrigna) fu abbandonato da entrambe. Privazione che è ben rappresentata dal bambino in fasce strappato dalle braccia della madre da un lupo in Traversata in Siberia (1948 – 1950). Vittima delle sue crisi depressive si provoca ferite sulla testa e il viso, vive di elemosina e senza fissa dimora. Ai momenti bui con intenti suicidi e ai ricoveri (1940 diagnosi: psicosi maniaco-depressiva) si alternano periodi di serenità in cui dipinge. Viene ospitato dallo scultore Andrea Mozzali che ne copia spudoratamente  le opere creando un giro di falsi. Durante l’occupazione tedesca viene impiegato come interprete ma presto torna a essere internato per tre anni (fino al 1948). In questo periodo le sue opere sono più complesse, la tavolozza si riempie di colori caldi  (arancione e rosso) e le sue frustrazioni trovano sfogo nell’aggressività e nei duelli tra animali (Aquila con volpe, 1949 -1950). Aumenta il numero degli autoritratti, quasi una presa di coscienza di sé. Rimane nell’ospizio di mendicità di Gualtieri fino al 1961.

Antonio Ligabue, Autoritratto con berretto da motociclista, s.d. (1954-1955), P. III Olio su tavola di faesite, 80×70 cm, Collezione privata

La terza sezione (1952 – 1962)
Con la mostra alla Barcaccia di Roma (1961) nasce Ligabue. Il successo lo porterà ad essere crudele con chi l’aveva bistrattato e generoso con gli esclusi. Dopo i bordelli finalmente un amore e un progetto di matrimonio che si dissolve per un attacco di paresi (1962). La paresi lo costringe a interrompere il suo lavoro e lo lascia invalido fino alla morte (1965). In questo decennio dipinge a ritmo frenetico ed è spesso ospite dei suoi mecenati. Di questo periodo sono i suoi celebri autoritratti (tra cui Autoritratto con berretto da motociclista, 1954-55). Dipinge senza disegnare, riempiendo di colori la tela. Ritornano i suoi animali giganti (Leopardo con vedova nera). In mostra alcune opere inedite o mai esposte, come Leopardo con serpente (1952 – 1962) di questo periodo o Circo equestre (1928 – 39) del primo periodo.

Antonio Ligabue, Cavalli imbizzarriti, s.d. (1948-1950), Olio su tavola di faesite, 62×57 cm, Collezione privata

Interessante, in mostra, le sue sculture e una sezione dedicata alla produzione grafica con disegni e incisioni quali Mammuth (1952-1962), Sulki (1952-1962) e Autoritratto con berretto da fantino (1962). Tra i suoi estimatori – Zavattini, Vigorelli, Bartolini – Borgese affermò: “Era solo costituzionalmente affine alla pazzia, dipingeva per riuscire a restare sano”. Non era un pittore ingenuo, ha frequentato musei, consultato testi e fatto studi dal vero. Ma i riconoscimenti nei confronti di un artista, che barattava i suoi quadri per un piatto di minestra o un giaciglio in una stalla, sono tutti postumi.

INFORMAZIONI

Sede: Complesso del Vittoriano – Ala Brasini
Via San Pietro in Carcere, Roma
Orario apertura: dal lunedì al giovedì 9.30 – 19.30; Venerdì e sabato 9.30 – 22.00;Domenica 9.30 – 20.30
(La biglietteria chiude un’ora prima)
Aperture straordinarie: 8 dicembre 9.30 – 20.30 (ultimo ingresso 19.30); 24 dicembre 9.30 – 15.30 (ultimo ingresso 14.30); 25 dicembre 15.30 – 20.30 (ultimo ingresso 19.30); 26 dicembre 9.30 – 20.30 (ultimo ingresso 19.30); 31 dicembre 9.30 – 15.30 (ultimo ingresso 14.30);1 gennaio 15.30 – 20.30 (ultimo ingresso 19.30); 6 gennaio 9.30 – 22.00 (ultimo ingresso 21.00)
Biglietti: Intero € 10,00 – Ridotto € 8,00 – Universitari € 5,00 ogni martedì escluso i festivi
Biglietto congiunto Hopper + Ligabue + Guerre Stellari Per chi acquista contestualmente i biglietti per le tre mostre:
Intero € 28 (composto da 3 biglietti ridotti 12 + 8 + 8) – Ridotto € 22 (composto da 3 biglietti ridotto convenzione 10 + 6+ 6)
Bambini € 11 (biglietto speciale bambini 5 + 3 + 3)
Diritti di prenotazione e prevendita: Gruppi e singoli € 1,50 per persona – Scolaresche € 1,00 per studente
Informazioni e prenotazioni: Tel. + 39 06 87 15 111
Sito: www.ilvittoriano.com
Hashtag ufficiale: #AntonioLigabue

Mostra a cura di Sandro Parmiggiani e Sergio Negri
Prodotta e organizzata da Arthemisia Group C.O.R. Creare-organizzare-realizzare