FOXTROT, la danza del destino. Leone d’argento alla 74. Mostra del Cinema di Venezia

Foxtrot, la danza del destino, il secondo film di Samuel Maoz – vincitore del Leone d’argento, Gran premio della giuria all’ultima Biennale Cinema di Venezia – dal 22 marzo al cinema.

Nel 1982 il regista israeliano Samuel Maoz è stato un carrista durante l’invasione di Israele in Libano. Una esperienza che l’ha profondamente segnato e da allora usa la macchina da presa come un’arma pacifica per denunciare l’assurdità della guerra.

FOXTROT ©GioraBejach

Nel 1987 porta a termine i suoi studi di cinematografia ma solo dopo 20 anni realizza  il suo primo lungometraggio Lebanon, dove i protagonisti sono rinchiusi in uno spazio claustrofobico, un carro armato dal quale assistono al massacro che si compie all’esterno. Maoz è particolarmente interessato all’analisi delle dinamiche umane che scaturiscono in un circolo chiuso. Con Lebanon è subito Leone d’oro nel 2009 a Venezia.

FOXTROT ©GioraBejach

Anche in questa sua seconda opera Samuel Maoz, sceneggiatore e regista di Foxtrot, si muove all’interno di un circolo chiuso, una famiglia e si torna sempre, come nei passi del ballo che dà il nome al film, al punto di partenza. Così  come il destino, che non si può contrastare, che non si può forzare e non si può dirottare.

FOXTROT, ©GioraBejach

Il regista racconta la storia di un padre, di un figlio e il destino che li sorprende e sconvolge. Maoz analizza la differenza e la distanza tra le cose che riusciamo a controllare e quelle che sfuggono al nostro controllo. Il regista ha dichiarato così le sue intenzioni: “La struttura di una tragedia greca in tre atti mi è sembrata la forma drammatica ideale per contenere le mie idee”. Una tragedia che esplode in colori e musiche. La vita di una famiglia benestante di Tel Aviv viene sconvolta una mattina dall’arrivo di due ufficiali dell’esercito che bussano alla porta per comunicare ai due genitori che il loro figlio, il soldato Jonathan, è morto.

FOXTROT, Michael (Lior Ashkenazi) ©GioraBejach

La madre crolla e il padre, usurato dal cordoglio dei parenti, non accetta la notizia e vuole andare in fondo alla vicenda. Molto efficace la descrizione anticonformista del fastidio che può arrecare il cordoglio di parenti o vicini che reiterano identici comportamenti e frasi di circostanza senza alcun rispetto per il dolore che dilania la vita di un genitore.

FOXTROT, ©GioraBejach

Il primo atto è dedicato al padre Michael, alla sua razionalità esteriore che nasconde sensi di colpa e alla sua forza solo apparente. Il secondo atto è incentrato sul figlio Jonathan, e sulla sua vita al chekpoint in equilibrio precario, come quello del container in cui dorme. Il terzo atto è dedicato alla madre, Dafna, al suo amore per il figlio e a quello, che sembra diventato impossibile da vivere, per il marito. Nell’ultimo atto si esce dal buio del tunnel, una tregua dai temi della morte e dell’assurdità della guerra.

FOXTROT, Jonathan (Yonatan Shiray) ©GioraBejach

Il servizio militare è stato un trauma per due generazioni, quella del padre e quella del figlio. In questo film i soldati vivono in un posto di blocco, ai confini della realtà. L’unico ad attraversare la scena, e il checkpoint, è un cammello, simbolo del destino che attraversa quasi per caso la nostra vita e che prima o poi si manifesterà. La guerra è una mattanza di giovani che non sanno perché sono dietro a un’arma. Aspettando cosa? Aspettando Godot. L’assurdità della guerra, come nel teatro di Samuel Beckett.

Foxtrot. director Samuel Maoz

Molto raffinato l’uso dissonante della musica in un deserto dai colori freddi. Le luci e la fotografia sono agghiaccianti e coinvolgenti come la trama del film e le tele di Edward Hopper. Se proprio si vuole trovare un difetto a questo film politically correct sono forse i reiterati primi piani sul volto del padre con lacrima, nonostante la bravura del noto attore teatrale, Lior Ashkenazi, regga bene le inquadrature ravvicinate. La passeggiata del cammello, apparentemente senza senso, firma il film e rappresenta il senso effimero della vita.
Einstein diceva che le coincidenze sono il modo che Dio usa quando vuole restare anonimo.
Il trailer è il succoso distillato del film.

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