India. Varanasi, i ghat e le risposte

 

Ci sono luoghi che attraggono come una calamita e posti che respingono, in cui sei convinto che non andrai mai. Invece arriva un giorno in cui il destino, o un corso di hindi, ti mettono in tasca un biglietto per arrivare in una città che parla di morte e puzza di povertà: Varanasi e i suoi ghat.

Dashashwamedh Ghat

India, Uttar Pradesh (letteralmente: regione a nord), Varanasi (tra i fiumi Varuna e Assi), o Benares per gli inglesi o Kashi (‘splendente’, al tempo dei Veda), la città di Shiva e 330 milioni divinità hindu. Non è soltanto una delle sette città sacre per gli induisti ma l’ombelico del mondo, cambia a ogni ora del giorno e a ogni incontro. Arrivarci di sera ti immette subito nel suo surreale traffico pedonale, dove è difficile fare un passo schiacciati dall’umanità: pedoni, carretti, risciò, cammelli, biciclette, tutti che cercano di scivolare uno accanto all’altro.

Varanasi, Palazzi sul Gange

Finalmente i ghat, rampe di scale in pietra che si srotolano sulla riva occidentale della sacra Ganga (per noi Gange, per gli indiani i fiumi sono femminili, tranne due). Immobile da secoli, con i suoi riti perenni all’alba e alla sera, la Ganga è venerata come la dea-madre di ogni cosa. Come il sacro Nilo, non è un semplice fiume ma fonte di vita, approdo di morte, destinazione sacra e l’uomo uno dei tanti elementi della natura. Ogni sera la Ganga Aarti: musiche ancestrali, suonate con conchiglie, cimbali, tamburi; miriadi di luci, persone, colori, mentre i brahmani (o bramini, casta sacerdotale) ripetono, tra effluvi di incensi, i loro mantra con gesti di danza. Impossibile cambiare o sbagliare il rito, sarebbe fonte di disgrazia.

Le pire sulle rive del Gange

Qualche frase balbettata in hindi conquista la simpatia di un barcaiolo con la coperta sulla testa (classico riparo all’umidità del fiume) che accetta, nonostante l’ora, di raccontarti le storie del fiume durante un giro in barca. Lasciati i lumini sull’acqua, la pace è sconvolta dallo scenario infernale delle pire del Manikarnika Ghat. Fumi di morte arrivano al cielo mentre Caronti impietosi bruciano cadaveri senza soluzione di continuità, notte e giorno. Difficile resistere all’impulso di fuggire da un luogo dove invece gli indiani desiderano arrivare per morire, sullo sfondo lo spettrale ospizio spalmato di carni macilente in attesa della liberazione. Gli induisti desiderano morire a Varanasi, e avere le proprie ceneri sparse nel Gange, per sfuggire al saṃsāra ciclo di morte e rinascita e ottenere la mokṣa, la liberazione.

Dhobi Ghat

Con la luce del giorno sulla Ganga scorre la vita. Le abluzioni degli indiani, almeno 60.000 ogni giorno si lavano perfino i denti in un fiume dove vengono gettate anche le ceneri dei morti. Sul dobhi ghat (le gradinate dei lavandai) stanno distesi ad asciugare lenzuoli meravigliosamente candidi. Uomini in fila attendono il loro turno per essere rasati da un barbiere di strada che esercita la sua professione sotto un albero, mentre i clienti di un uomo accovacciato portano ad aggiustare i loro infradito in plastica, qui si ricicla e ripara tutto, in mezzo a tanta povertà nulla va sprecato. Lungo la riva fiabeschi edifici secolari, che ogni occidentale trasformerebbe in splendidi resort, stanno come nobili giganti.

Le mani di una sposa

Occorre sedersi sui Ghat ore e giorni, far scivolare, come il fiume, il tempo e la vita in un film infinito: i sorrisi dei bambini che giocano con gli aquiloni, i bufali che fanno il bagno, i pellegrini che arrivano su barche stracolme, sadhu (asceti, alcuni improbabili occidentali) fissano l’orizzonte, sacerdoti-astrologi sotto ombrelloni colorati che recitano le loro divinazioni e pire che bruciano senza sosta. Il segreto della vita è qui: nascita, gioia, matrimoni, dolore, morte, rinascita, strette in un solo sguardo, che si ripetono eternamente nel loro ciclo. Questo luogo dove sono condensate vita e morte, e le loro manifestazioni, miracolosamente restituisce pace all’anima, ti fa sentire atomo, parte del ciclo dell’universo, panta rei. Ti fa accettare la morte, anche di una persona cara, come ineluttabile, naturale, vita che scorre, cenere nel mare. A Kashi, la splendente, forse non trovi l’illuminazione ma molte risposte.